— Ah, guida dei fedeli, il nostro santo Profeta è certo irritato contro di noi! Sarà d'uopo placarlo. — Lo placheremo in seguito, — disse il califfo con un sorriso che non prometteva nulla di buono. — Avrete tempo sufficiente per le vostre suppliche durante la mia assenza, giacché questo paese mi rovina la salute. Mi sono annoiato della montagna delle quattro fontane e ho deciso di andare a bere al ruscello di Rocnabad. Desidero rinfrescarmi nelle valli deliziose che quelle acque bagnano. Tu governerai i miei territori con l'assistenza di mia madre e curerai di fornirle tutto quello che può servire ai suoi esperimenti: perché sai bene che la nostra torre è ricchissima di materiali per il progresso delle scienze.

La torre non rispondeva del tutto ai gusti di Morakanabad. Immensi tesori erano stati sprecati per essa; egli non vi aveva mai visto entrare altri che negre, muti, e abominevoli droghe. Né sapeva bene che cosa pensare di Carathis che, come i camaleonti, poteva assumere qualsiasi colore. La dannata eloquenza di lei aveva spesso ridotto il povero musulmano agli ultimi aneliti. Egli considerò tuttavia che se la principessa possedeva poche buone qualità, suo figlio ne aveva ancora meno; e che l'alternativa, tutto sommato, sarebbe stata in favore di lei. Confortato da queste riflessioni egli si avviò con animo sereno a calmare il popolo e a disporre i pili acconci preparativi per il viaggio del suo padrone.

Vathek, per conciliarsi gli spiriti del palazzo sotterraneo, stabili che la sua spedizione sarebbe stata splendida come nessun'altra. Con questa idea si diede a confiscare da ogni parte i beni dei suoi sudditi; mentre la sua degna madre visitava e saccheggiava i serragli delle gemme di cui si ornavano. Ella chiamò a raccolta le cucitrici e le ricamatrici di Samarah e di altre città in un raggio di sessanta leghe, per preparare i padiglioni, le palanchine, i sofà, i baldacchini e le lettighe per il seguito del monarca.

Non restò, in tutta Masulipatan, una sola pezza di cinz; e si adoperò tanta mussola per vestire Bababalouk e gli altri eunuchi negri che non ne rimase un braccio in tutto l'Irak di Babilonia.

Durante questi preparativi Carathis, che non perdeva mai di vista il suo obiettivo principale, che era quello di ottenere i favori delle potenze delle tenebre, riuniva le pili belle e le più gentili signore della città; soltanto, nel mezzo delle feste, aveva l'abitudine di fare entrare vipere e di far rompere sotto la tavola vasi pieni di scorpioni. I serpenti mordevano che era una meraviglia; e Carathis avrebbe lasciato morire le sue amiche se non fosse stato che, per passare il tempo, ogni tanto si divertiva a curare le loro ferite con un eccellente anodino di sua invenzione: giacché questa buona principessa aborriva dall'ozio.

Vathek, che non era cosi attivo come sua madre, dedicava il tempo al solo soddisfacimento dei sensi nei singoli palazzi che vi erano appositamente dedicati. Non si infastidiva più col Divano o con la moschea. E metà di Samarah seguiva il suo esempio mentre l'altra metà deplorava la corruzione.

Durante questi avvenimenti ritornò l'ambasceria che in tempi di pietà era stata mandata alla Mecca. Era composta dei più reverendi mullah, che avevano portato a termine la loro missione e che ora tornavano con una di quelle scope preziose che si adoprano per detergere la sacra Caaba; un regalo veramente degno del più grande potentato della terra.

Il califfo si trovava in quell'istante ad essere occupato in un appartamento assolutamente non adatto a ricevere ambascerie. Egli senti la voce di Bababalouk, che lo chiamava attraverso la porta e il tappeto che la copriva: — Ci sono l'eccellente Edris al Shafei e il serafico Ali Mouhateddin che hanno portato una scopa dalla Mecca e con lacrime di gioia supplicano di poterla presentare alla vostra maestà in persona. — La portino qui. Qui può essere utile, — rispose Vathek. — Come? — esclamò Bababalouk a mezza voce e in tono stupefatto. -— Obbedisci, — replicò Vathek, — questa è la mia sovrana volontà; vattene, sparisci. Voglio ricevere proprio qui questa buona gente che ti ha riempito di giubilo.

L'eunuco si allontanò sospirando e pregò il venerabile corteo di seguirlo. Un mistico senso di rapimento si diffuse fra quei reverendi vecchi. Benché stanchi per il lungo viaggio, seguirono Bababalouk con una prontezza quasi miracolosa e si sentirono altamente lusingati quando, passando attraverso i maestosi portici, compresero che il califfo non li avrebbe ricevuti come gli ambasciatori ordinari nella sala delle udienze. Giunti nell'interno dell'harem (dove attraverso gelosie di Persia essi vedevano apparire e sparire come lampi grandi occhi vellutati, ora scuri, ora azzurri) procedettero con rispetto e meraviglia e, pieni della loro celeste missione, avanzarono in corteo per gli angusti corridoi che sembravano dover finire in nulla e che portavano invece alla cella dove il califfo aspettava il loro arrivo.

— É forse malato, il capo dei fedeli? — disse Edris al Shafei a bassa voce al suo compagno. — Penso piuttosto che sia nel suo oratorio, — rispose Ali Mouhateddin. Qui Vathek, che aveva sentito il dialogo, gridò: — Che cosa v'importa di quello che sto facendo? Avvicinatevi senza perdere tanto tempo. — Essi avanzarono e il califfo, senza mostrarsi, tirò fuori una mano dalla tenda che copriva la porta e domandò la scopa. Dopo essersi prosternato per quanto il corridoio lo permetteva e dopo aver formato un discreto semicerchio, il venerabile Al Shafei, estratta la scopa dalla garza ricamata e profumata in cui era stata avvolta perché non la contaminasse lo sguardo profano di occhi volgari, si levò fra i suoi compagni e con aria severa e solenne si diresse verso il supposto oratorio: ma quale meraviglia! quale orrore lo attendeva! Vathek, scoppiando in una sinistra risata, strappò la scopa alle mani tremanti del vecchio e, prese di mira alcune ragnatele che pendevano dai muri, le spazzò via gravemente una per una.