I vecchi nella loro costernazione non riuscivano a sollevare le barbe da terra; giacché Vathek aveva lasciato il tappeto a metà sollevato ed essi furono testimoni dell'intera scena. Le loro lacrime inumidirono il marmo. Ali Mouhateddin, sfinito per la stanchezza e per la mortificazione, svenne, mentre il califfo, voltandosi sul suo seggio, strillava e batteva le mani senza pietà. Finalmente, rivolgendosi a Bababalouk egli disse: — Mio caro negro, distribuisci a queste povere anime pie un po' del nostro buon vino di Schiraz: che essi possono vantarsi di aver visto del mio palazzo più di chiunque altro. — Detto questo, tirò loro la scopa in faccia e se ne andò a ridere con Carathis. Bababalouk fece tutto quello che era in suo potere per consolare gli ambasciatori; ma i due più infermi spirarono sul posto, gli altri furono portati ai loro letti da cui non si rialzarono più, con i cuori spezzati dal dolore e dalla vergogna.

La notte seguente Vathek, accompagnato da sua madre, sali sulla torre a vedere se tutto era propizio per il suo viaggio; giacché egli aveva una gran fede nell'influsso degli astri. I pianeti apparivano nel loro aspetto più favorevole. Il califfo, per godersi una vista cosi benigna, cenò lietamente sulla terrazza; e durante la cena immaginò di sentire risuonare per il cielo felici scoppi di risa che gli diedero la massima sicurezza.

Tutto era in movimento nel palazzo: le luci rimasero accese tutta la notte: il rumore degli arnesi e degli operai che finivano il loro lavoro, le voci delle donne e dei guardiani che cantavano ricamando: tutto contribuiva a turbare la quiete della natura e deliziava infinitamente il cuore di Vathek che immaginava già di ascendere in trionfo al trono di Solimano. Il popolo non era meno soddisfatto di lui: tutti si adoperavano per rendere più vicino il momento in cui sarebbero stati liberati dei perversi capricci di un cosi stravagante padrone.

Carathis trascorse il giorno precedente la partenza del suo infatuato figliolo a ripetergli le norme della misteriosa pergamena che ella si era presa cura di imparare a memoria; e, con la raccomandazione di non varcare la soglia di alcuna abitazione per via, aggiunse: — Tu sai bene come sono difficili i tuoi gusti per i buoni cibi e per le fanciulle; perciò lasciati consigliare: contentati dei tuoi vecchi cuochi che sono i migliori del mondo e non dimenticare che nel tuo serraglio ambulante ci sono almeno tre dozzine di volti graziosi che Bababalouk non ha ancora svelati. Io stessa ho un gran desiderio di vegliare sulla tua condotta e di visitare il palazzo sotterraneo che senza dubbio contiene tutto quello che può interessare persone come noi. Nulla è cosi piacevole come il ritirarsi nelle caverne: il mio gusto per i cadaveri e per tutto ciò che abbia affinità con le mummie è pronunciato; e sono certa che tu avrai modo di vederne i più squisiti esemplari. Allora non dimenticarmi: appena sarai in possesso dei talismani che aprono la via ai regni minerali e al centro della terra, non mancare di mandarmi qualche fedele genio a prendere me e il mio gabinetto; l'olio dei serpenti che ho stretto tra le mie dita fino a farli morire sarà un grazioso dono per il Giaurro, il quale sa certo apprezzare simili leccornie.

Carathis aveva appena finito il suo edificante discorso quando il sole, tramontando dietro la montagna delle quattro fontane, lasciò il suo posto alla luna nascente. Era appunto una sera di luna piena e il pianeta appariva più bello e pili grande del solito agli occhi delle donne, degli eunuchi e dei paggi, tutti impazienti di mettersi in cammino. La città echeggiò di nuovo di clamori di gioia e del suono delle trombe. Non si scorgeva nulla se non le piume ondeggianti sui padiglioni e i pennacchi splendenti al dolce chiarore lunare. Il grande spiazzo rassomigliò a un'immensa platea ornata dei più splendidi tulipani dell'Oriente.

Vestito degli abiti che si portavano solo per le più importanti cerimonie e scortato dal visir e da Bababalouk, il califfo scese la grande scalinata al cospetto del suo popolo. Non potè fare a meno di fermarsi, a intervalli, per ammirare il superbo spettacolo che da ogni parte si offriva alla sua vista; mentre l'intera moltitudine e perfino i cammelli con i loro carichi sontuosi si inchinavano davanti a lui. Per qualche tempo regnò la calma, turbata solo dagli acuti strilli di qualche eunuco in coda. Queste vigili guardie avevano notato che alcune gabbie delle signore erano state caricate di traverso; e avendo scoperto che degli audaci galanti erano riusciti a introdurvisi, avevano subito sloggiato gli estasiati colpevoli e li avevano consegnati con buone raccomandazioni al chirurgo del serraglio. La maestosità di un cosi magnifico spettacolo non poteva comunque essere turbata da incidenti di questo genere. Vathek nel frattempo salutava la luna con un'aria idolatra che non piacque né a Morakanabad né ai dottori della legge, e tanto meno ai visir e ai grandi della corte, riuniti tutti per godere l'ultima volta della vista del sovrano.

Infine trombe e clarini dall'alto della torre annunciarono il momento della partenza. Benché gli strumenti fossero tutti accordati all'unisono, si udì una singolare dissonanza. Era Carathis che cantava le sue atroci preghiere al Giaurro, mentre le negre e le mute fornivano una sorta di basso continuo senza articolare una parola. I buoni musulmani immaginarono di udire il cupo ronzio degli insetti notturni forieri di sventura e insistettero con Vathek perché egli pensasse a proteggere la sua sacra persona.

A un dato segnale fu spiegato il grande stendardo del califfato: balenò intorno il riflesso di ventimila lance e il califfo, incedendo regalmente sulle stoffe d'oro che erano state distese ai suoi piedi, sali sulla lettiga fra le acclamazioni generali dei sudditi.

La spedizione cominciò nel massimo ordine e con un silenzio tale che si sentiva persino il verso delle locuste nelle macchie della piana di Catoul. Pieno di gaiezza e di buon umore, il corteo fece sei leghe buone prima dell'alba; e la stella del mattino tremava ancora nel firmamento quando tutto il numeroso seguito si fermò sulle rive del Tigri, dove si mise il campo per prendervi riposo durante la giornata. I tre giorni che seguirono furono impiegati allo stesso modo; ma nel quarto il cielo si fece scuro: apparvero lampi frequenti, seguiti da scoppi di tuono; e le tremanti circasse si attaccarono con tutta la loro forza ai loro brutti guardiani. Lo stesso califfo dovette resistere al desiderio di cercare asilo nella grande città di Ghulchissar, il cui governatore gli era venuto incontro e non si stancava di enumerare tutti i conforti che la sua città poteva offrire. Ma dopo aver esaminato i suoi precetti, Vathek si decise a tollerare che la pioggia lo bagnasse fino alle ossa, nonostante il fastidio che gli davano le sue più eminenti favorite. Benché cominciasse a rimpiangere il Palazzo dei cinque sensi, egli non perdeva di vista lo scopo della sua impresa, e la fiducia nell'avvenire lo confermava nella sua risoluzione. Diede ordine ai geografi di raggiungerlo; ma il tempo era divenuto cosi terribile che quei poveretti si presentarono in un aspetto misero; e le carte dei differenti paesi, devastate dalla pioggia, erano in uno stato anche peggiore dei geografi.