Bababalouk, tuttavia, uccise alcune delle più grasse, che non erano in grado di muoversi, e prese a scorticarle con ammirabile destrezza. La carovana era ormai abbastanza lontana dal luogo dell'incendio, per sentirne il calore piuttosto come un piacere che come un pericolo, e cosi si decise a sostare. I veli strappati furono ricomposti; i brandelli abbandonati dai lupi e dalle tigri furono sotterrati; e si fece vendetta di alcune dozzine di avvoltoi che erano troppo pieni per sostenersi sulle ali. Contati i cammelli, che erano stati lasciati in libertà perché producessero sali ammoniacali, e chiuse di nuovo le donne nei loro padiglioni, fu eretta la tenda imperiale nel punto più pianeggiante.

Vathek, disteso su un materasso di piumino e al sicuro dalle scosse che gli aveva fatto provare l'etiope, certo il più rude ronzino che egli avesse montato fino allora, chiese qualcosa da mangiare. Ma ahimè! quelle delicate torte cotte per la sua bocca regale in forni d'argento, quei fini panini di frumento, quei confetti d'ambra, caraffe di vino di Schiraz, quei vasi di porcellana colmi di neve, quell'uva dei vigneti del Tigri, tutto era irrimediabilmente perduto! E Bababalouk non aveva da offrire in loro vece che un lupo arrostito, stufato di avvoltoio, erbe aromatiche acri e pungenti, tartufi marci, cardi bolliti e altre piante selvatiche che raschiavano la gola e bruciavano la lingua. Né era meglio provvisto in fatto di bevande: non poteva offrire, per accompagnare questi cibi irritanti, che pochi fiaschi di una disgustosa acquavite nascosta dagli sguatteri nelle loro babbucce. Vathek accolse con ogni sorta di smorfie un pranzo cosi selvaggio e Bababalouk rispose con contorsioni e alzate di spalle. Ma in definitiva il califfo mangiò con un discreto appetito e cadde in un leggero sonno che durò sei ore.

La luce del sole, riflessa dalle bianche rocce della montagna, a lungo andare disturbò il riposo di Vathek nonostante le tende che lo proteggevano. Si svegliò atterrito, punto a sangue da certe disgustose mosche del colore dell'assenzio, le cui ali mandavano un puzzo soffocante. Il misero monarca si trovò perplesso sul da farsi, benché il suo spirito non fosse tardo nel trovare espedienti. Bababalouk russava là accanto, coperto da uno sciame di quegli insetti, tutti molto affaccendati intorno al suo naso. I piccoli paggi mezzo morti di fame, avevano buttato per terra i loro ventagli e adoperavano l'ultimo filo di voce per rimproverare amaramente il califfo che ora per la prima volta senti il linguaggio della verità.

Cosi stimolato, egli rinnovò le sue imprecazioni contro il Giaurro e rivolse a Maometto alcune concilianti espressioni. — Dove sono? — gridò. — Che cosa sono questi spaventevoli picchi, queste valli di sgomento? Siamo giunti all'orribile Kaf? È questo il Simurgh che viene a cavarmi gli occhi per punirmi della mia empia impresa? — Detto ciò, si voltò verso un'uscita laterale del suo padiglione; ma ahimè! che cosa gli si parò dinanzi? Da una parte una distesa di sabbia nera di cui non si vedeva la fine, e dall'altra rocce a perpendicolo, coperte di quegli abominevoli cardi che gli avevano lacerata la lingua la sera prima. Egli immaginò allora di vedere fra i rovi e gli spini dei giganteschi fiori, ma si ingannava: erano solo i pendenti brandelli colorati del suo splendido seguito. Inoltre, siccome le rocce erano solcate da molte spaccature da cui sembrava che dovesse scorrere l'acqua, Vathek tese l'orecchio con la speranza gli arrivasse il rumore di qualche torrente nascosto; ma riusci a distinguere solo il sommesso vociare della sua gente che malediceva quel viaggio e si lamentava per la mancanza di acqua. — A che scopo — essi si domandavano — siamo stati portati fin qui? C'è un'altra torre da costruire per il nostro califfo? O gli implacabili afriti che Carathis ama tanto hanno fissato in questo luogo la loro dimora?

Al nome di Carathis, Vathek ripensò alle tavolette che aveva avuto da sua madre. Essa gli aveva assicurato che erano dotate di virtù soprannaturali e gli aveva raccomandato di consultarle in qualsiasi circostanza difficile. Mentre era occupato a sfogliarle, udì un frastuono di gioia e un grande applauso. Le tende che chiudevano il suo padiglione vennero scostate ed egli scorse Bababalouk che, seguito da uno stuolo di favorite, gli conduceva due nani alti un cubito ciascuno. Questi ultimi portavano un gran cesto di meloni, arance e melagrane, e cantavano, con voce dolcissima, questa cantilena: — Noi abitiamo sulla vetta di questa montagna, in una capanna di giunchi e di canne; le aquile ci invidiano il nostro nido; una piccola fonte ci porta l'acqua per il rito dell'Abdest e quotidianamente recitiamo preghiere che il Profeta accoglie. Noi ti veneriamo, guida dei fedeli! Il nostro padrone, il buon emiro Fakreddin, vi venera come noi: egli riverisce nella vostra persona il viceré di Maometto. Piccoli come siamo, egli confida in noi: sa che i nostri cuori sono buoni quanto i nostri corpi son miseri; egli ci ha posto qui per portare aiuto a coloro che perdono la strada in queste impervie montagne. La notte scorsa, mentre nella nostra cella eravamo intenti a leggere il santo Corano, una improvvisa bufera spense i nostri lumi e scosse la nostra abitazione. Per due ore regnò una fitta oscurità; ma noi udivamo in lontananza suoni che ci pareva venissero dai sonagli di una cafila che traversasse la montagna. Presto le nostre orecchie furono percosse da terribili grida, da spaventosi ruggiti e dal suono dei cimbali. Raggelati dal terrore, pensammo che il Deggial con i suoi angeli sterminatori avesse scatenato i suoi flagelli sulla terra. Durante queste melanconiche riflessioni vedemmo levarsi all'orizzonte fiamme di un rosso ardente, e in pochi istanti ci trovammo noi stessi circondati da lingue di fuoco. Stupiti da cosi strane manifestazioni, prendemmo il volume dettato dall'intelligenza benedetta e inginocchiati alla luce del fuoco che ci circondava recitammo il verso che dice: «Non ponete la vostra fiducia altrove che nella grazia del Cielo; non vi è salvezza che nel santo Profeta: anche la montagna di Kaf può tremare: è solo il potere di Allah che nulla può spostare». Dopo avere pronunciato queste parole, provammo un certo conforto e la nostra mente si distese in un sacro riposo.