Segui un istante di silenzio e le nostre orecchie udirono chiaramente nell'aria una voce che diceva: «Servi del mio fedele servo! scendete nella felice vallata di Fakreddin: ditegli che gli si offre una illustre occasione di soddisfare la sete del suo cuore ospitale. La guida dei veri credenti si trova oggi sperduta in queste montagne e ha bisogno del vostro aiuto». Noi abbiamo eseguito con gioia l'angelico comando; e il nostro signore, nel suo pio zelo, ha colto con le sue mani questi meloni, queste arance e queste melagrane. Egli ci segue con cento dromedari carichi della più pura acqua delle sue fontane; viene a baciare il lembo della vostra veste consacrata e vi implora di entrare nella sua umile abitazione che, posta fra queste aride plaghe, è simile a uno smeraldo incastonato nel piombo —. Terminato questo indirizzo, i nani rimasero immobili con le mani incrociate sul petto e in rispettoso silenzio.

Vathek, nel mezzo della curiosa arringa, aveva preso la cesta, e molto prima che il discorso fosse finito i frutti gli si erano già sciolti in bocca. Mentre mangiava la sua pietà cresceva, e con la stessa emissione di voce egli recitava le preghiere, chiedeva il Corano e chiedeva lo zucchero.

Tale era lo stato del suo spirito, quando le tavolette, messe da parte alla comparsa dei nani, attirarono di nuovo il suo sguardo. Le prese in mano, ma per poco non svenne quando vide le parole scritte a grandi caratteri rossi dalla mano di Carathis. E in verità erano parole tali da farlo tremare: «Guardati dai vecchi dottori e dai loro messaggeri alti un cubito; diffida dei loro melliflui inganni; e invece di mangiare i loro meloni impala su uno spiedo gli uomini che te li porteranno. Se tu fossi cosi insano da visitarli, la porta del palazzo sotterraneo ti sarebbe chiusa in faccia con tale violenza da lasciarti stordito: si sputerebbe sul tuo corpo e i pipistrelli farebbero il nido sulla tua pancia».

— A che cosa vuol giungere questa funebre rapsodia? — gridò il califfo. — Devo morire di sete in questi deserti quando posso rinfrescarmi nella deliziosa valle dei meloni e dei cocomeri? Maledetto il Giaurro e il suo portale d'ebano! Mi ha già tenuto schiavo troppo tempo. Dopo tutto, chi può dettarmi legge? Davvero non devo entrare in casa di nessuno? Ma in qualunque casa entri non sarò forse in casa mia? — Bababalouk, che non aveva perso una sillaba di questo soliloquio, vi si associò di tutto cuore; e le dame, per la prima volta, condivisero la sua opinione.

I nani furono intrattenuti, accarezzati, e furono fatti sedere con grande cerimonia su piccoli cuscini di seta. La simmetria delle loro figure era per tutti oggetto di ammirazione; non un pollice della loro persona fu lasciato inesplorato. Ninnoli e leccornie furono loro offerti a profusione; ma essi declinarono tutte le offerte con rispettosa gravità. Salirono sui braccioli del trono, e ponendosi ciascuno su una spalla del califfo cominciarono a mormorargli le loro preghiere negli orecchi. Le loro lingue tremavano come foglie al vento e la pazienza di Vathek era quasi esaurita quando le acclamazioni della truppa annunziarono l'avvicinarsi di Fakreddin che arrivava con un centinaio di vecchie barbe e tanti esemplari del Corano quanti dromedari. Tutti immediatamente fecero le abluzioni e cominciarono a ripetere la Bismillah. Vathek, per sbarazzarsi di questi compiacenti censori, segui il loro esempio, giacché del resto aveva le mani che gli bruciavano.

II buon emiro, che era di una religiosità scrupolosa e insieme un maestro nei complimenti, fece un discorso cinque volte pili prolisso e insipido di quello che avevano pronunciato i suoi piccoli ambasciatori. Il cali ffo, insofferente di trattenersi più a lungo, esclamò: — Per amore di Maometto, mio caro Fakreddin, basta! Moviamoci verso la tua valle a godere dei frutti che il Cielo ti ha donato. — Questo cenno alla partenza mise in moto tutti. I venerabili accompagnatori dell'emiro si misero in movimento con una certa lentezza, ma quando Vathek ordinò in privato ai suoi piccoli paggi di stimolare i dromedari, forti scoppi di risa vennero dai padiglioni; perché l'andatura goffa di quelle povere bestie e il ridicolo atteggiamento dei loro decrepiti cavalieri erano oggetto di grande divertimento per le dame.

Comunque scesero a valle sani e salvi lungo gli agevoli pendii che l'emiro aveva fatto scavare nei fianchi della montagna, e presto il murmure delle acque e il frusciare delle foglie cominciò a richiamare la loro attenzione. Il corteo prese un sentiero che correva tra siepi fiorite e che portava fino a un ampio bosco di palmizi sotto i cui rami si levava un grandioso edificio di pietra. Il palazzo era sormontato da nove cupole e adorno di altrettanti portali di bronzo su cui era incisa la seguente iscrizione: «Questo è l'asilo dei pellegrini, il rifugio dei viandanti e il depositario dei segreti da ogni parte del mondo».

Nove paggi belli come il giorno e dignitosamente vestiti di lino egiziano stavano davanti a ogni porta. Essi accolsero tutto il corteo con aria cordiale e invitante. Quattro dei più amabili collocarono il califfo su un magnifico palanchino; altri quattro di grazia appena minore si occuparono di Bababalouk, che non si tenne dalla gioia al vedere la comoda cabina che gli era stata destinata; i rimanenti paggi accolsero il seguito.

Quando tutti furono scomparsi, il cancello di una grande porta a destra girò armoniosamente sui cardini; e una giovane donna di forme snelle usci fuori. I suoi leggeri capelli bruni si agitavano nella vaga brezza del tramonto. Una schiera di giovinette simili alle pleiadi l'assisteva in punta di piedi. Esse corsero ai padiglioni che contenevano le sultane; e la giovane donna, inchinandosi graziosamente, disse: — Graziose principesse, tutto è pronto: abbiamo preparato i Ietti per il vostro riposo e abbiamo profumato di gelsomino i vostri appartamenti. Gli insetti non potranno impedire a un dolce sopore di raggiungere i vostri occhi: noi li scacceremo con mille ventagli di piume. Venite, amabili signore! rinfrescate i vostri piedi delicati e le vostre membra d'avorio in vasche di acqua di rose; alla luce di lampade profumate i vostri servi vi narreranno delle favole. — Le sultane accettarono con piacere questa gentile profferta e seguirono la giovane donna nell'harem dell'emiro; dove dovremo per un momento lasciarle e tornare al califfo.

Vathek si trovava sotto una vasta cupola illuminata da mille lampade di cristallo di rocca; altrettanti vasi dello stesso cristallo pieni di squisiti sorbetti splendevano su una grande tavola su cui erano profuse vivande di ogni sorta.