— E voi perché avete messo piede in questa maledetta dimora? — rispose aspro Bababalouk. — Un monarca come voi deve visitare col suo harem la casa di un emiro con tanto di barba bianca che non sa nulla della vita? E che graziose damigelle pullulano in questi luoghi! Figuratevi che mi hanno inzuppato come un crostino abbrustolito, e mi hanno fatto ballare come un saltimbanco per tutta la notte sulla loro maledetta altalena. Una bella lezione per le vostre sultane, in cui io ho istillato tanta riservatezza e tanto decoro! — Vathek, il quale non aveva capito una sillaba di tutta questa invettiva, lo obbligò a riferire minutamente i fatti; ma invece di compatire il povero infelice egli rise sguaiatamente della storia dell'altalena e della figura di Bababalouk. L'eunuco, offeso, riusci a malapena a mantenere un atteggiamento rispettoso: — Ridete pure, signore, ridete! — disse. — Ma vorrei che questa Nouronihar facesse qualche scherzo anche a voi; essa è troppo malvagia per risparmiare persino la vostra maestà. — Sul momento queste parole non fecero molta impressione al califfo; ma dopo non molto esse gli tornarono in mente.

La conversazione fu troncata da Fakreddin, il quale veniva a domandare che Vathek si unisse a lui per le preghiere e le abluzioni da celebrare in un vasto prato irrorato da innumerevoli correnti. Il califfo trovò l'acqua refrigerante, ma le preghiere straordinariamente noiose. Si diverti tuttavia a vedere la moltitudine di calendari, di santoni e dervisci che andavano e venivano continuamente; soprattutto lo colpirono bramini, i fachiri e altri esaltati che venivano dal cuore dell'India e che si erano fermati per via con l'emiro. Questi ultimi avevano ciascuno qualche ridicola peculiarità. Uno si trascinava dietro, dovunque andasse, una enorme catena; un altro un orang-outang; un terzo era provvisto di flagelli; e tutti si esibivano a meraviglia. Alcuni si arrampicavano sugli alberi con un piede solo; altri camminavano sui carboni accesi e si picchiavano il naso senza pietà; altri ancora mostravano speciale predilezione per rettili niente affatto avari nel ricambiare le loro carezze. Questi fanatici pellegrini riempivano di disgusto i dervisci, i calendari e i santoni. Ma la oro ripugnanza si placò ben presto, nella speranza che la presenza del califfo avrebbe calmato la loro follia e li avrebbe convertiti alla fede musulmana. Ma, ahimè! grande fu il loro disappunto quando Vathek, invece di catechizzarli, prese a divertirsi con loro, incaricandoli di porgere a Visnù e a Ixhora i suoi omaggi, e dimostrando poi una simpatia particolare per un tozzo vecchietto dell'Isola di Serendib che era davvero più assurdo di tutti gli altri. — Avvicinati, per i tuoi dèi! — gli disse, — e copriti la faccia di schiaffi perché io mi diverta! — Offeso da tali parole, il vecchietto scoppiò a piangere; ma poiché il suo viso bagnato di lacrime diventava ripugnante, il califfo gli voltò le spalle e porse orecchio a Bababalouk, che tenendogli l'ombrello sul capo gli mormorava: — Vostra maestà dovrebbe mostrarsi più cauta verso questa strana gente che non si sa per che cosa sia stata riunita. È necessario mostrare a un potente signore tali spettacoli, con intermezzo di sacerdoti siamesi più rognosi dei cani? Io, fossi in voi, farei accendere subito un gran fuoco e distruggerei i poderi dell'emiro, del suo harem e del suo seguito. — Taci, imbecille, — replicò Vathek, — e sappi che tutto ciò mi diverte immensamente e che non lascerò la radura prima di aver visitato tutte le congregazioni di questi pii mendicanti.

Dovunque il califfo volgesse i suoi passi, gli si raccoglievano intorno pietose figure: ciechi, guerci, giovani senza naso e fanciulle senza orecchie, tutti inneggianti alla munificenza di Fakreddin che insieme alle barbe grige del suo seguito distribuiva generosamente cataplasmi e cerotti a quanti gliene chiedevano. A mezzogiorno fece la sua apparizione una superba schiera di paralitici; e subito dopo si avanzò in plotoni sulla pianura la più perfetta associazione di invalidi che mai si fosse vista. I ciechi marciavano brancolando, gli zoppi si sforzavano di avanzare sorreggendosi a vicenda, i monchi si facevano segno l'un l'altro con l'unico braccio rimasto. Ai lati di una potente cascata erano riuniti i sordi, tra cui si trovavano alcuni abitanti di Pegù che avevano orecchie di insolita bellezza e smisuratamente grandi, ma capaci di sentire ancora meno di quelle dei loro compagni. C'erano numerosi gobbi, molti altri con tumori sul collo, e perfino alcuni con corna di meraviglioso splendore.

L'emiro, per accrescere solennità alla festa in onore del suo illustre ospite, ordinò di stendere dovunque drappi e pelli, su cui furono serviti per quei buoni musulmani pilaf multicolori e altre pietanze ortodosse; per espresso desiderio di Vathek, che era vergognosamente tollerante, furono preparate con grande scandalo dei fedeli piccole porzioni di vivande proibite. La sacra assemblea si gettò a corpo morto sui cibi. Il califfo, nonostante le vivaci rimostranze del suo capo eunuco, decise di banchettare sul posto; e il compiacente emiro diede subito ordine di porre una tavola all'ombra dei salici. Come primo piatto vennero serviti pesci, presi in un fiume dalle sabbie d'oro che scorreva ai piedi di un alto monte: arrostiti con la stessa rapidità con cui venivano pescati, erano conditi con una salsa di aceto e d'erbe aromatiche colte su monte Sinai; giacché, dall'emiro, ogni cosa era eccellente e pia.

Il pranzo volgeva alla fine, quando dal monte giunse un suono di liuti, ripetuto dagli echi delle montagne circostanti. II califfo, piacevolmente sorpreso, aveva appena alzata la testa, che una manciata di gelsomini gli piovve sul viso. Sommesse risate accolsero lo scherzo e subito apparvero dai cespugli avvenenti figure di fanciulle che correvano agili come cerbiatte. Il profumo che si effondeva dai loro capelli mandò in estasi Vathek; si ch'egli smise di mangiare e disse a Bababalouk: — Son forse le Uri discese dalle loro sfere? Guarda specialmente quella, dalle forme cosi perfette, corre audacemente sull'orlo del precipizio e volge indietro il capo non curante che del leggero fluire della sua veste. Con che leggiadra impazienza contende i suoi veli ai cespugli! È stata forse lei a gettarmi i gelsomini?

— Ah si, lei certo; e volentieri ti butterebbe dall'orlo del precipizio, — rispose Bababalouk; — essa è la mia cara amica Nouronihar, che mi prestò cosi gentilmente la sua altalena. Mio buon signore e padrone, — aggiunse staccando un ramoscello da un salice, — lascia che io le dia una buona lezione per la sua sfacciataggine. L'emiro non avrà ragione di dolersene, poiché (con i dovuti rispetti alla sua pietà) gli si può ben dar biasimo, dal momento che tiene un tale sciame di fanciulle sulle montagne dove l'aria frizzante stimola loro troppo la circolazione del sangue.

— Taci, bestemmiatore! — disse il califfo; — non parlare cosi di lei che su queste montagne porta il mio cuore in dolce prigionia.