Morakanabad e i suoi compagni lo presero per una qualche opera intrapresa dal califfo. Infelici! Mal supponevano la sua vera natura. Vathek, non volendo che arrivassero a vederlo troppo da vicino, fermò il corteo e fece disporre un ampio cerchio piuttosto distante dallo sciagurato pozzo. La guardia del corpo degli eunuchi fu distaccata a misurare il terreno per i giochi e a preparare i cerchi per le prove dei giovani arcieri. I cinquanta competitori furono presto svestiti e presentarono all'ammirazione degli spettatori l'agilità e la grazia delle loro giovani membra. I loro occhi splendevano di una gioia che si rifletteva in quelli dei compiaciuti genitori. Ciascuno offriva voti per il piccolo candidato più vicino al suo cuore e non dubitava che a lui sarebbe toccata la vittoria. Con concitata incertezza si attendeva la gara delle innocenti e amabili vittime.

Il califfo, approfittando della prima possibilità di allontanarsi dalla folla, avanzò verso il pozzo: di li udì, non senza un sussulto, la voce dell'indiano che digrignando i denti domandava avidamente: — Dove sono, dove sono? Non ti accorgi di come la mia gola è assetata? — Implacabile Giaurro, — rispose Vathek commosso, — non può contentarti null'altro che la strage di queste amabili vittime? Se tu li vedessi, la loro beltà certo ti moverebbe a compassione. — Maledetta la tua compassione, babbeo! — gridò l'indiano. — Dammeli! Dammeli subito o la mia porta si chiuderà per sempre per te. — Non cosi forte, — replicò il califfo, arrossendo. — Ho capito, — rispose il Giaurro col sogghigno di un orco; — non manchi di presenza di spirito: tacerò per un momento.

Durante questo squisito colloquio i giochi avevano proceduto con la massima alacrità e si concludevano ora mentre l'ombra cominciava a distendersi sulle montagne. Vathek, che si trovava ancora sull'orlo del pozzo, chiamò a gran voce: — Fateli venire avanti uno per volta secondo la loro classifica, questi miei cinquanta piccoli favoriti. Al primo darò il mio braccialetto di diamanti; al secondo il mio collare di smeraldi; al terzo il mio fermaglio di rubini; al quarto la mia cintura di topazi; e a tutti gli altri qualche parte del mio vestito fino alle babbucce.

La dichiarazione fu accolta con reiterate acclamazioni e tutti esaltarono la liberalità di un principe che si spogliava in questo modo per il piacere dei suoi sudditi e per l'incoraggiamento della giovane generazione. Intanto il califfo a poco a poco si spogliava, e sollevando il braccio più in alto possibile faceva balenare ciascuno dei premi; ma, mentre con una mano lo consegnava al bambino che saltava per prenderlo, con l'altra spingeva il povero innocente nell'abisso; e il Giaurro, con un sordo mugolio, ripeteva continuamente: — Ancora, ancora!

Questa spaventosa astuzia fu attuata con tanta destrezza che ogni ragazzo che si avvicinava al califfo restava ignaro della sorte del suo predecessore; quanto agli spettatori, la distanza e le ombre della sera impedivano loro di vedere distintamente qualsiasi cosa. Vathek, dopo aver buttato giù in questo modo l'ultimo dei cinquanta fanciulli, convinto che il Giaurro ricevendoli avrebbe presentato la chiave, si immaginava già grande come Solimano e per conseguenza non più imputabile di quello che aveva fatto; quando con suo estremo stupore il baratro si chiuse e il suolo si mostrò unito come tutt'intorno nella pianura.

Nessun linguaggio potrebbe esprimere la sua rabbia e la sua disperazione. Egli maledisse la perfidia dell'indiano, lo copri delle più infami invettive, e pestò i piedi per essere udito. Continuò in tali atti finché la forza lo sostenne, quindi cadde a terra come privo di sensi. I visir e i grandi che erano più vicini degli altri supposero sulle prime che egli si fosse seduto sull'erba a giocare con i loro amabili bambini; ma alla lunga, mossi dal dubbio, avanzarono verso di lui; e trovarono il califfo solo, che furiosamente domandò loro che cosa volessero. — I nostri bambini! — gridarono, — i nostri bambini! — Certo è comodo, — rispose Vathek, — farmi responsabile di un accidente. I vostri bambini, giocando, sono caduti nel precipizio e io avrei subito la loro sorte se non mi fossi arrestato un tratto.

A queste parole i padri dei cinquanta bambini diedero in alte grida; le madri ripeterono le loro esclamazioni una ottava pili alta, mentre tutti gli altri, senza saperne la causa, soffocarono presto le voci dei genitori con lamenti più alti ancora. — Il nostro califfo, — dicevano, e presto la voce circolò, il nostro califfo ci ha giocato questo tiro per cattivarsi il suo dannato Giaurro. Puniamolo per la sua perfidia! Vendichiamoci! Vendichiamo il sangue dell'innocente! Trasciniamo questo crudele principe fino all'abisso vicino, e che il suo nome non sia mai pili ricordato!

A questo rumore e a queste minacce Carathis, piena di costernazione, corse da Morakanabad e disse: — Visir, tu hai perso due bei ragazzi e devi essere necessariamente il più afflitto dei padri; ma tu sei virtuoso: salva il tuo principe. — Affronterò ogni rischio, — rispose il visir, — per metterlo in salvo dalla presente situazione, ma poi lo abbandonerò alla sua sorte. — Bababalouk, — continuò poi, — mettiti alla testa dei tuoi eunuchi: disperdi la folla e, se è possibile, riporta al palazzo questo infelice principe —. Bababalouk e la sua confraternita, rallegrandosi a bassa voce per aver avute risparmiate le pene come gli onori della paternità, obbedirono all'ordine del visir; il quale, dando alla loro opera tutto l'aiuto che era in suo potere, portò infine a compimento la sua generosa iniziativa e si ritirò quindi, secondo la sua decisione, a lamentarsi a suo piacere.

Non appena il califfo fu rientrato nel palazzo, Carathis ordinò che si sbarrassero le porte; ma considerando che il tumulto non diminuiva di violenza e sentendo le alte imprecazioni di cui risonava ogni quartiere, disse a suo figlio: — Che la folla abbia ragione o torto, occorre che tu provveda alla tua salvezza: ritiriamoci nei tuoi appartamenti e di là, attraverso il passaggio sotterraneo noto a noi soli, nella tua torre. Quivi, con l'aiuto dei muti e delle mute che non l'abbandonano mai, potremo opporre una poderosa resistenza. Bababalouk penserà che noi siamo ancora nel palazzo e ne guarderà le entrate per la sua stessa salvezza; e noi troveremo presto senza i consigli di quel babbeo di Morakanabad quale espediente sia da preferire.

Vathek, senza curarsi di rispondere, accolse la proposta della madre e continuò a ripetere mentre si incamminava: — Nefando Giaurro! dove sei? Non hai ancora divorato quei poveri fanciulli? Dove sono le tue sciabole? E la chiave d'oro? E i tuoi talismani? — Carathis, che da queste domande aveva indovinato una parte della verità, capi che non sarebbe stato difficile rendersi conto di tutto, quando suo figlio si fosse un po' calmato lassù nella sua torre. La principessa era lontanissima dal farsi scrupoli; era anzi malvagia quanto può esserlo una donna, il che non è poco, giacché il gentil sesso tiene a una qualche superiorità in ogni competizione. Il racconto del califfo quindi non suscitò in lei terrore né sorpresa; ella mostrò di commuoversi solo per le promesse del Giaurro e disse a suo figlio: — Il Giaurro, bisogna confessarlo, è di gusti alquanto sanguinari; ma i poteri terrestri sono sempre terribili; nondimeno, quello che l'uno ha promesso e che gli altri adempiranno, costituirà un sufficiente indennizzo.