Egli non stupì di questo sentimento di grandezza: il cielo di Santiago del Cile era un cielo straniero; ma una volta che il corriere fosse in marcia 20

verso Santiago del Cile, si viveva, da un capo all’altro della linea, sotto la stessa volta profonda. Di quest’altro corriere, del quale i radiotelegrafisti spiavan la voce nei microfoni, ora i pescatori di Patagonia vedevano i fuochi di bordo. Quando questa inquietudine d’un aeroplano in volo pesava su Rivière, pesava anche sulle capitali e le province, col rombo d’un motore.

Felice di questa notte libera, egli ricordava le notti disordinate, quando l’aeroplano gli pareva pericolosamente sprofondato nella notte e così difficile soccorrerlo. Dal posto radiotelegrafico di Buenos Aires, se ne seguiva il lamento mischiato al ronzìo degli uragani. Sotto quella ganga sorda, l’oro dell’onda musicale si perdeva. Che angoscia nel canto in minore d’un corriere lanciato come un cieco dardo verso gli ostacoli della notte!

Rivière pensò che il posto d’un ispettore, in una notte di veglia, era il suo ufficio.

«Fatemi cercare Robineau.»

Robineau era sul punto di fare d’un pilota il suo amico. All’albergo, aveva aperto la sua valigia dinanzi a lui; ne uscivano quei piccoli oggetti grazie ai quali gli ispettori si avvicinano al resto dell’umanità: qualche camicia di cattivo gusto, un nécessaire da toeletta, poi la fotografia di una donna magra che l’ispettore attaccò al muro. Così egli faceva a Pellerin l’umile confessione dei suoi bisogni, delle sue tenerezze, dei suoi rimpianti. Alli-neando in un ordine miserabile i suoi tesori, egli esponeva agli occhi del pilota la sua miseria. Un eczema morale. Egli mostrava la sua prigione.

Ma per Robineau, come per tutti gli uomini, esisteva una piccola luce.

Egli aveva provato una grande dolcezza levando dal fondo della sua valigia un sacchetto accuratamente incartato. Lo aveva palleggiato a lungo senza dir nulla, poi, aprendo le mani:

«L’ho portato dal Sahara…»

L’ispettore era arrossito pel fatto d’osare una simile confidenza. Egli era consolato dei suoi disgusti e delle sue disgrazie coniugali e di tutta quella grigia verità grazie a quei sassolini nerastri che aprivano una porta sul mistero.

Arrossì ancor più, e: «Se ne trovan d’uguali al Brasile» disse. E Pellerin aveva picchiato leggermente la spalla d’un ispettore che si curvava sull’At-lantide. Per pudore, Pellerin aveva anche chiesto: «Lei ama la geologia?»

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«È la mia passione.»

Nella sua vita, solo le pietre gli erano state dolci.

Quando lo chiamarono, Robineau fu triste, ma tornò dignitoso.

«Debbo lasciarla; il signor Rivière ha bisogno di me per qualche grave decisione.»

Quando Robineau entrò nell’ufficio, Rivière lo aveva dimenticato. Egli meditava dinanzi ad una carta murale su cui era iscritta in rosso la rete della Compagnia. L’ispettore aspettava i suoi ordini. Dopo qualche minuto assai lungo, Rivière, senza voltare la testa, gli chiese:

«Che cosa ne pensa di questa carta, Robineau?»

A volte, uscendo da un sogno, egli proponeva dei rebus.

«Questa carta, signor direttore…»

In realtà, l’ispettore non ne pensava niente, ma, fissando la carta con aria severa, egli ispezionava sommariamente l’Europa e l’America. D’altra parte, Rivière continuava, senza comunicargliele, le sue meditazioni: “Il volto di questa rete è bello, ma duro. Ci è costato molti uomini, molti giovani.

Qui esso s’impone con l’autorità delle cose costruite, ma quanti problemi nascono da lui?”. Nondimeno, per Rivière, lo scopo dominava tutto.