Rivière si sprofonda nella sua poltrona e si passa la mano nei capelli 38

grigi.

“È il più coraggioso dei miei uomini. Quel ch’è riuscito a fare quella se-ra è stato molto bello. Ma io lo salvo dalla paura…”

Poi, sentendo tornare una tentazione di debolezza:

“Per farsi amare, basta compiangere. Io non compiango nessuno o lo na-scondo. E tuttavia mi piacerebbe tanto circondarmi di amicizia e di dolcezza umana. Un medico, nel suo mestiere, le incontra. Ma io servo gli avvenimenti. E bisogna che foggi gli uomini perché li servano. E come la sento bene questa oscura legge, la sera, nel mio ufficio, dinanzi ai fogli di via! Se io mi abbandono, se lascio che gli avvenimenti ben regolati seguano il loro corso, allora nascono gli incidenti, misteriosamente. Come se la mia sola volontà impedisse all’aeroplano di spezzarsi in volo, o alla tempesta di ri-tardare il corriere in cammino. A volte io stesso sono sorpreso del mio potere.” Rifletté ancora:

“Forse è chiaro. Questa mia è simile alla lotta continua del giardiniere sul prato. Il semplice peso della sua mano respinge nella terra, che la prepara eternamente, la foresta primitiva.”

Ora pensa al pilota:

“Io lo salvo dalla paura. Non lui attaccavo, ma, attraverso lui, la resi-stenza che paralizza gli uomini dinanzi all’ignoto. Se lo ascolto, se lo compiango, se mostro di prendere sul serio la sua avventura, si convincerà d’esser tornato da un paese di mistero, ed è solo del mistero che si ha paura.

Bisogna che non vi sia più mistero. È necessario che vi sian degli uomini i quali, dopo essere scesi in quel pozzo oscuro, ne salgano ed affermino di non aver incontrato nulla. Bisogna che quell’uomo discenda nel cuore più segreto della notte, nel suo spessore, privo sinanche di quella piccola lampada da minatore che non illumina se non le mani o l’ala, ma allontana, d’una larghezza di spalle, l’ignoto.”

Nondimeno, in quella lotta, una silenziosa fraternità legava, in fondo ai loro esseri, Rivière e i suoi piloti. Erano come uomini imbarcati sulla stessa nave che provano uno stesso desiderio di vincere. Ma Rivière si ricorda delle altre battaglie che ha sferrate per la conquista della notte.

Nei circoli ufficiali, quel cupo territorio era tenuto come una foresta vergine. Lanciare un equipaggio a duecento chilometri l’ora verso gli ura-39

gani e la nebbia e gli ostacoli materiali che la notte contiene senza mostrar-li, pareva tollerabile per l’aviazione militare: si parte dal campo in una notte chiara, si bombardano gli obiettivi prestabiliti e si torna al campo di partenza. Ma i servizi regolari di notte non potevano riuscire. “Per noi” aveva risposto Rivière “è una questione di vita o di morte, perché ogni notte noi perdiamo quel che durante il giorno abbiamo guadagnato d’anticipo sulle navi e le ferrovie.”

Rivière aveva ascoltato con impazienza chi parlava di bilanci, di assicu-razioni e soprattutto dell’opinione pubblica: “L’opinione pubblica” rispondeva “si domina!”. E pensava: “Quanto tempo perso! Eppure c’è qualche cosa…. qualche cosa che ha più importanza di tutto ciò. Quel che è vivo rovescia tutto per vivere e crea, per vivere, le sue leggi. È irresistibile”. Ri-vière non sapeva né quando né come l’aviazione civile si sarebbe decisa ai voli notturni, ma bisognava preparare questa inevitabile soluzione.