Ora si ricorda dei tappeti verdi, dinanzi ai quali, col mento sul pugno, aveva ascoltato, con uno strano sentimento di forza, tante obiezioni. Esse gli sembravano vane, condannate in anticipo dalla vita. E sentiva la sua forza raccolta in lui, come un peso: “Le mie ragioni sono pesanti e vincerò”

pensava Rivière. “È la tendenza naturale degli avvenimenti.” E quando qualcuno gli chiedeva una soluzione perfetta, tale da scartare tutti i perico-li: “Le leggi nasceranno dall’esperienza” rispondeva: “la conoscenza delle leggi non precede mai l’esperienza”.

Dopo una lunga giornata di lotta, Rivière aveva vinto. Gli uni dicevano

“a causa della sua fede”, gli altri “a causa della sua tenacia, della sua potenza d’orso in cammino”, ma, secondo lui, semplicemente per il semplice fatto di pesare nella buona direzione.

Ma che precauzioni al principio! Gli aeroplani non partivano che un’ora prima di giorno, non atterravano che un’ora dopo il calare del sole. Quando Rivière giudicò d’essere più sicuro della sua esperienza, solo allora ardì spingere i corrieri nelle profondità della notte. E ora, seguito da pochi, quasi sconfessato dai più, conduceva una lotta solitaria.

Rivière suona per conoscere le ultime notizie degli aeroplani in volo.

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XII

Frattanto il corriere di Patagonia giungeva al margine dell’uragano, e Fabien rinunciava a girargli intorno. Giudicava che dovesse essere troppo vasto, perché la linea dei lampi si sprofondava verso l’interno del paese e rivelava fortezze di nuvole. Decise di tentare di passare al di sopra, e, se la faccenda si presentasse pericolosa, di far dietro-front.

Lesse l’altitudine: millesettecento metri, e pesò con le palme sulle leve di comando per cominciare a ridurla. Il motore vibrò assai forte e l’aeroplano tremò. Fabien corresse a occhio l’angolo di discesa; poi verificò sulla carta l’altezza delle colline: cinquecento metri. Per serbarsi un margine, stabilì di navigare a settecento. Sacrificava la sua quota come si gioca una fortuna.

Un risucchio fece fare un tuffo all’aeroplano, che tremò più forte. Fabien si sentì minacciato da invisibili frane. Fantasticò di fare dietro-front e di ritrovare centomila stelle, ma non virò d’un grado.

Fabien calcolava le possibilità di salvezza: probabilmente si trattava di un uragano locale, poiché il prossimo scalo, Trelew, segnalava un cielo per tre quarti coperto. Si trattava di vivere appena venti minuti in quel cemento nero. E, nondimeno, il pilota si preoccupava. Piegato a sinistra, contro la massa del vento, cercava d’interpretare le luci confuse che, anche nelle notti più dense, circolano nel cielo. Non si trattava nemmen più di luci ma, appena, di cambiamenti di densità dello spessore delle ombre o di una stanchezza degli occhi.

Egli spiegò un foglietto del radiotelegrafista: «Dove siamo?».

Fabien avrebbe dato molto per saperlo. Rispose: «Non so. Attraversia-mo un uragano usando la bussola».