Se avesse potuto, come avrebbe navigato verso il giorno!

Pensò ch’era circondato. Tutto, o bene o male, doveva risolversi in quel cupo spessore.

È vero: qualche volta, quando sorgeva il giorno, ha creduto di entrare in convalescenza.

Ma a che fissar gli occhi verso l’Est, dove viveva il sole? C’era tra loro una tale profondità notturna ch’era impossibile risalirla sino alla superficie.

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XIII

«Il corriere d’Asuncion cammina bene. Sarà qui verso le due. Invece si prevede un grande ritardo del corriere di Patagonia che, a quanto pare, si trova in una posizione difficile.» «Bene, signor Rivière.»

«Può darsi che non lo si aspetti per far partire l’aeroplano d’Europa: quando arriverà il corriere d’Asuncion, chiederete istruzioni. Siate pronti.»

Rivière rileggeva i telegrammi di protezione degli scali del Nord. Essi aprivano al corriere d’Europa una strada di luna: «Cielo puro, luna piena, vento nullo».

Le montagne del Brasile, ben ritagliate sul raggiare del cielo, sprofon-davano diritte, nel risucchio argenteo del mare, le loro fitte chiome di foreste nere. Quelle foreste su cui piovono, instancabilmente, senza colorarle, i raggi della luna. E nere anch’esse come rottami, in mare, le isole. E quella luna, lungo tutta la strada, inesauribile: una fontana di luce.

Se Rivière avesse ordinato la partenza, l’equipaggio del corriere d’Europa sarebbe entrato in un mondo stabile che, per tutta la notte, avrebbe luc-cicato dolcemente. Un mondo nel quale nulla minacciava l’equilibrio delle masse d’ombra e di luce, nel quale non s’infiltrava nemmeno la carezza di quei venti puri che, se rinfrescano, possono in qualche ora fare imputridire un cielo intero.

Ma Rivière, dinanzi a quello splendore, esitava come un cercatore d’oro dinanzi ai campi d’oro vietati. Nel Sud gli avvenimenti davan torto a Riviè-

re, unico difensore dei voli notturni. I suoi avversari avrebbero tratto da un disastro in Patagonia una posizione morale così forte, che dinanzi ad essa la fede di Rivière sarebbe ormai apparsa impotente; perché la fede di Ri-vière non era scossa: nella sua opera c’era una fessura che aveva permesso al dramma di insinuarvisi; ma il dramma indicava la fessura, non altro.

“Forse sarà necessario impiantare dei posti d’osservazione all’Ovest… Ve-dremo.” E pensava ancora: “Ho le stesse solide ragioni di insistere e una causa d’accidenti in meno: quella che s’è mostrata”. Gli scacchi fortificano i forti. Disgraziatamente, contro gli uomini si gioca un gioco nel quale il ve-ro senso delle cose conta così poco… Si vince o si perde sulle apparenze, e 44

si segnan punti miserabili. E ci si trova legati mani e piedi da un’apparenza di disfatta.

Rivière suonò il campanello.

«Bahia Bianca non ci comunica più niente per radio?»

«No.»

«Chiamate lo scalo al telefono.» Cinque minuti dopo s’informava:

«Perché non ci comunicate più niente?» «Non udiamo più il corriere.»

«Tace?»

«Non sappiamo. Troppi uragani. Anche se tentasse comunicare, non lo sentiremmo.» «Trelew sente?» «Non udiamo Trelew.» «Telefonate.»

«Abbiamo tentato; la linea è interrotta.» «Che tempo da voi?»

«Minaccioso. Lampi all’Ovest e al Sud. Tempo pesante.» «Vento?»

«Debole ancora, ma per dieci minuti. I lampi si avvicinano rapidamente.» Un silenzio.

«Bahia Bianca? Sentite.