Bene. Richiamateci tra dieci minuti.»

E Rivière sfogliò i telegrammi degli scali del Sud. Tutti segnalavano lo stesso silenzio dell’aeroplano. Qualcuno non rispondeva già più a Buenos Aires, e, sulla carta, s’allargava la macchia delle province mute, ov’erano le piccole città già abbandonate all’uragano, con tutte le porte chiuse, e ogni casa delle loro strade separata dal mondo e perduta nella notte come una nave. Soltanto l’alba le libererebbe.

Nondimeno Rivière, curvo sulla carta, conservava ancora la speranza di scoprire un rifugio di cielo puro, poiché aveva chiesto, telegraficamente, lo stato del cielo alla polizia di più di trenta città di provincia, e le risposte cominciavano a giungergli.

Su duemila chilometri, i posti radiotelegrafici avevan l’ordine di comunicare entro trenta secondi a Buenos Aires qualunque messaggio riuscisse-ro a intercettare dall’aeroplano. Buenos Aires allora avrebbe comunicato, perché fosse trasmessa a Fabien, la posizione del rifugio.

I segretari, convocati per l’una del mattino, erano rientrati nei loro uffici. E là avevano misteriosamente appreso che forse i voli notturni sarebbero stati sospesi e che lo stesso corriere d’Europa non avrebbe decollato che 45

allo spuntare del giorno. Essi parlavano a bassa voce di Fabien, del ciclone, e, soprattutto, di Rivière. Essi lo indovinavano, lì presso, schiacciato a po-co a poco da quella smentita naturale alle sue teorie.

Ma tutte le voci si spensero; Rivière era apparso sulla porta del suo ufficio, chiuso nel suo soprabito, col cappello sugli occhi, eterno viaggiatore.

Egli fece un passo tranquillo verso il capo ufficio:

«È l’una e dieci minuti; le carte del corriere d’Europa son pronte?»

«Io… credevo…»

«Lei non deve credere… ma eseguire…»

Fece dietro-front, lentamente, verso una finestra aperta, con le mani incrociate dietro la schiena.

Un segretario gli si avvicinò:

«Signor direttore, otteniamo poche risposte. Ci segnalano che nell’interno molte linee telegrafiche sono già distrutte.»

«Bene.»

Rivière, immobile, guardava la notte.

Così, ogni messaggio minacciava il corriere. Ogni città, quando poteva rispondere prima della distruzione delle linee, segnalava la marcia dell’uragano, come quella di un’invasione. «Viene dall’interno, dalla Cordigliera, e spazza tutta la strada verso il mare…»

Rivière giudicava che le stelle eran troppo splendenti, l’aria troppo umi-da. Che strana notte! Essa imputridiva improvvisamente, a zone, come la carne d’un frutto luminoso. Le stelle, al completo, dominavano ancora Buenos Aires, ma non era che un’oasi, e d’un istante; e, d’altronde, era un porto che l’aeroplano non poteva raggiungere. Notte minacciosa, che un vento cattivo toccava e imputridiva. Notte difficile a vincere.

In qualche luogo, nelle sue profondità, un aeroplano era in pericolo: e sulle rive di quella notte gli uomini si agitavano impotenti.

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XIV

La moglie di Fabien telefonò.

La notte d’ogni ritorno, essa calcolava la marcia del corriere di Patagonia: «Parte da Trelew…». Poi si riaddormentava. Un po’ più tardi: «Ora de-ve essere vicino a Sant’Antonio, deve vederne le luci…». Allora s’alzava, scostava le tende e giudicava il cielo: «Tutte quelle nubi lo disturbano…».

A volte la luna camminava come un pastore.