Fabien avrebbe seguito qualunque consiglio, purché gli fosse stato gri-dato. Pensava: “E se mi dicessero di mettermi a girare intorno, girerei intorno, e se mi dicessero di marciare verso il Sud…”. Esistevano, in qualche luogo, le terre in pace, dolci sotto le loro grandi ombre lunari. E quei camerati laggiù, istruiti come sapienti, chini sulle carte, al riparo di lampade, belle come fiori, le conoscevano. Ma egli che cosa sapeva, all’infuori dei risucchi e della notte che spingeva verso di lui, con la velocità d’una frana, i suoi torrenti neri? Non si poteva abbandonare due uomini in mezzo a quelle trombe e quelle fiamme che s’accendevano nelle nuvole. No, non si poteva. Qualcuno avrebbe ordinato a Fabien: «Rotta a duecentoquaran-ta…». Egli si sarebbe messo in direzione a 240°. Ma egli era solo.
Gli parve che anche la materia si ribellasse. Ad ogni tuffo, il motore vi-52
brava più forte, così forte che tutta la massa dell’aeroplano era presa da un tremito come di collera. Fabien stancava le sue forze a dominare l’aeroplano, con la testa nascosta nella carlinga, volto all’orizzonte giroscopico, poiché, fuori, egli non distingueva più la massa del cielo da quella della terra, perduto in un’ombra nella quale tutto si mischiava e si confondeva, un’ombra originaria, simile a quella donde erano usciti i mondi. Ma le sfere degli indicatori di posizione oscillavan sempre più rapide e diventava difficile seguirle, e già il pilota, ch’esse ingannavano, si dibatteva male, perdeva quota, affondava a poco poco in quell’ombra. Lesse la quota: “cinquecento metri”. Era il livello delle colline. Egli le sentiva spingere verso di lui le lo-ro ondate vertiginose. Capiva inoltre che tutte le masse del suolo, la più piccola delle quali l’avrebbe sfracellato, eran come strappate dai loro soste-gni, schiodate, e cominciavano a girare, come ebbre, intorno a lui, cominciavano, intorno a lui, una specie di danza profonda che lo serrava sempre più.
Si decise. Decise di atterrare ovunque, a rischio di schiantarsi. E, per evitare almeno le colline, lanciò l’unico razzo illuminante che aveva a bordo. Il razzo s’infiammò, girò, illuminò una pianura e vi si spense: era il ma-re.
Egli pensò rapidamente: “Perduto. Quaranta gradi di correzione, e sono egualmente andato alla deriva. È un ciclone. Dov’è la terra?”. Virò verso Ovest, completamente. Pensò: “Ora, senza razzi illuminanti, non posso che uccidermi”. Doveva finire così, una volta o l’altra. E il suo camerata, lì dietro… “Certo ha ritirato l’antenna.” Ma il pilota non gliene serbava rancore.
Sarebbe bastato che egli aprisse le mani, perché le loro due vite ne scorres-sero subito via, come polvere vana.
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