Egli teneva nelle sue mani il cuore pal-pitante del suo compagno ed il suo. E, improvvisamente, le sue mani lo spaventarono.

In quei risucchi simili a colpi d’ariete, per ammortire le scosse del volante, che avrebbero potuto spezzare i tiranti dei comandi, egli s’era aggrappato ad esso con tutte le sue forze, e ad esso stava ancora aggrappato.

Ed ecco che non sentiva più le sue mani intorpidite dallo sforzo. Volle muover le dita per riceverne il messaggio; ma non seppe dire se esse obbe-dissero. In fondo alle braccia egli aveva ormai qualcosa d’estraneo; due ve-sciche insensibili e molli. Pensò: “Bisogna ch’io immagini fortemente di stringere le mani…”. Ma non sapeva se il pensiero giungesse sino alle dita; 53

e come avvertiva le scosse del volante soltanto per un dolore alle spalle:

“Mi sfuggirà. Le mie mani s’apriranno…”. Ma s’impaurì d’essersi permesso queste parole, perché credette sentire, questa volta, le sue mani obbedire all’oscuro potere dell’immagine, e aprirsi lentamente, nell’ombra, per abbandonare il volante.

Egli avrebbe potuto lottare ancora, tentare tutte le probabilità: la fatalità esteriore non esiste. Ma c’è una fatalità interiore: un minuto arriva nel quale ci si sente vulnerabile, e, allora, gli errori attirano come una vertigine.

Ed è in questo preciso minuto che sulla sua testa, attraverso una lacera-zione della tempesta, come un richiamo mortale in fondo a una rete, brillarono alcune stelle.

Egli capì che era un tranello: si vedono tre stelle in un buco, si sale verso di loro; ma poi non si può più discendere, e si rimane lassù, a mordere le stelle…

Ma la sua fame di luce era tale, ch’egli salì.

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XVI

Salì, correggendo meglio che poteva i risucchi, grazie ai punti di riferi-mento che offrivan le stelle. La loro calamita pallida lo attirava. Aveva tanto e così lungamente sofferto alla ricerca d’una luce, che, trovatala, non avrebbe più abbandonato la più confusa. Ricco d’un chiarore d’albergo, avrebbe girato sino alla morte, attorno a quel segno di cui aveva fame. Ed ecco che saliva verso il campo di luce.

Saliva a poco a poco, a spirale, nel pozzo che s’era aperto e che si ri-chiudeva sotto di lui. E, a misura ch’egli saliva, le nuvole perdevano il loro fango d’ombra, passavano contro di lui, simili a onde sempre più bianche.

Fabien emerse.

La sua sorpresa fu estrema: la luce era tale che abbagliava. Per qualche secondo fu costretto a chiudere gli occhi. Non avrebbe mai creduto che, di notte, le nubi potessero abbagliare. Ma la luna piena e tutte le costellazioni le mutavano in onde raggianti.

L’aeroplano era improvvisamente sboccato, nello stesso attimo in cui era emerso, in una calma che pareva straordinaria. Non un’onda che lo fa-cesse inclinare. Come una barca quando passa la diga, esso entrava in acque riservate. Era preso in una parte sconosciuta di cielo, nascosta come la rada delle isole felici.