Sotto di lui, la tempesta formava un altro mondo di tremila metri di spessore, percorso da raffiche, da trombe d’acqua, da lampi; ma essa volgeva agli astri una faccia di neve e di cristallo.
Fabien s’immaginava d’aver raggiunto uno strano limbo, perché tutto si faceva luminoso; le sue mani, le sue vesti, le sue ali. La luce non scendeva dagli astri, ma si sprigionava, sotto di lui, intorno a lui, da quei depositi bianchi.
Quelle nuvole sotto di lui, rimandavan tutta la neve che ricevevano dalla luna; anche quelle a destra e a sinistra, alte come torri. Ovunque scorreva un latte di luce, nel quale l’equipaggio si immergeva beato. Fabien, volgen-dosi, vide che il radiotelegrafista sorrideva.
«Va meglio!» gridò.
Ma la sua voce si perdeva nel rumore del volo; soltanto i sorrisi comu-55
nicavano. “Sono assolutamente pazzo” pensava Fabien; “sorrido mentre siamo perduti.”
Nondimeno mille braccia oscure l’avevano abbandonato. I suoi lacci erano stati slegati, come quelli d’un prigioniero lasciato libero di camminare, per un po’, tra i fiori.
“Troppo bello” pensò Fabien. Errava tra le stelle accumulate con la densità d’un tesoro, in un mondo nel quale nulla, all’infuori di lui, Fabien, e del suo compagno, era vivo.
Essi sono simili a quei ladri delle città favolose, murati entro la camera del tesoro dalla quale non potranno più uscire. Ed errano, in mezzo a quella gelida gioielleria notturna, infinitamente ricchi, ma condannati.
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XVII
Uno dei radiotelegrafisti di Commodoro Rivadavia, scalo di Patagonia, fece un gesto brusco, e tutte le persone che vegliavano impotenti, si raccol-sero intorno a lui e si curvarono.
Si curvavano su un foglio di carta vergine e duramente illuminato. La mano dell’operatore esitava ancora e la matita dondolava. La mano del radiotelegrafista teneva ancora prigioniere le lettere, ma già le dita tremavano.
«Uragani?»
Il radiotelegrafista fece “sì” con la testa; il loro ronzio gli impediva di capire.
Poi notò qualche segno indecifrabile. Poi ristabilì il testo:
«Bloccati tremilaotto sopra tempesta. Navighiamo verso Ovest interno poiché eravamo andati alla deriva sul mare. Sotto di noi tutto è chiuso. I-gnoriamo se sorvoliamo ancora il mare. Comunicate se tempesta estendesi interno.»
Per trasmettere questo radiogramma a Buenos Aires fu necessario, per causa degli uragani, fare la catena di posto in posto. Il messaggio avanzava nella notte, come un fuoco che si accende di volta in volta.
Buenos Aires fece rispondere: «Tempesta generale all’interno. Quanto carburante vi rimane?» «Mezz’ora.»
E questa frase, di posto in posto, risalì sino a Buenos Aires.
L’equipaggio era condannato, prima di trenta minuti, a profondare nel ciclone che lo strascinerebbe fino al suolo.
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XVIII
E Rivière medita.
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