Pellerin guardava, con un inspiegabile stringimento di cuore, quei picchi innocenti, quelle cime, quelle creste di neve, appena più grigie, che, nondimeno, cominciavano a vivere - come un popolo.
Senza che gli apparisse una vera necessità di lottare, egli serrava le mani sui comandi. Qualche cosa che egli non comprendeva si preparava. Egli tendeva i suoi muscoli, come una bestia che sta per saltare, ma non vedeva nulla che non fosse calmo. Calmo, sì, ma pieno d’uno strano potere. Poi tutto s’era fatto più aguzzo. Quelle creste, quei picchi, tutto era diventato acuto: si sentiva che essi penetravano come ostacoli il vento duro. E poi gli sembrò che essi virassero e andassero alla deriva intorno a lui, come navi gigantesche quando prendono posizione per il combattimento. E poi, vi fu, mischiata all’aria, una polvere: essa saliva, fluttuando dolcemente, come un 12
velo, lungo le distese di neve. Allora, per cercare un’uscita pel caso si fosse dimostrata necessaria la ritirata, egli s’era voltato ed aveva tremato: tutta la Cordigliere, dietro di lui, pareva fermentare. “Sono perduto!”
Da un picco, dinanzi a lui, zampillò la neve: un vulcano di neve. Poi, ancora, da un secondo picco, un po’ a destra. E tutti i picchi, così l’uno do-po l’altro, s’infiammarono, come toccati successivamente da un’invisibile staffetta Fu allora che, con i primi risucchi dell’aria, le montagne intorno al pilota s’erano messe a oscillare”
L’azione violenta lascia poche tracce: egli non ritrovava più in sé il ricordo dei grandi turbini che l’avevano sospinto. Ricordava solo d’essersi dibattuto rabbiosamente tra quelle fiamme grigie.
Rifletté.
“Il ciclone è nulla. Si può salvare la pelle. Ma prima! Ma quell’incontro…” Pensava di poter riconoscere un certo volto tra mille, e, nondimeno, lo aveva già dimenticato.
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IV
Rivière guardava Pellerin. Tra venti minuti egli sarebbe sceso di carrozza per mischiarsi alla folla con un senso di stanchezza e di pesantezza. Certo avrebbe pensato: “Sono molto stanco… maledetto mestiere!”. E a sua moglie avrebbe sicuramente fatto press’a poco questa confessione: “Si sta meglio qui che sulle Ande”. E nondimeno, tutto quello cui gli uomini ten-gono tanto s’era quasi staccato da lui: egli ne conosceva ormai la miseria.
Aveva vissuto qualche ora dietro le scene, senza sapere se gli sarebbe stato concesso di ristabilire per sé questa città nelle sue luci, di ritrovare ancora, amiche d’infanzia noiose e pur care, tutte le sue piccole infermità d’uomo.
“In ogni folla” pensava Rivière “ci sono uomini che non si distinguono dagli altri, e sono tuttavia prodigiosi messaggeri. E non lo sanno neppur essi.
A meno che…” Rivière aveva paura di certi ammiratori. Essi non compren-dono il carattere sacro dell’avventura, e le loro esclamazioni ne falsano il senso, diminuiscono l’uomo. Ma qui Pellerin serbava intatta tutta la grandezza di sapere, meglio di chiunque altro, che cosa valga il mondo intravi-sto in una determinata luce e di respingere le approvazioni volgari con uno sdegno pesante. Per cui Rivière lo complimentò: «Come è andata?».
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