E gli volle bene, perché egli parlava come un operaio, parlava del suo volo, co-me un fabbro della sua incudine.

Pellerin spiegò prima di tutto la ritirata tagliata. E quasi si scusava:

«Così che non ho avuto modo di scegliere». Poi non aveva visto più nulla: la nebbia l’aveva accecato. Ma violente correnti l’avevan portato in salvo, sollevandolo a settemila metri di quota. «Debbo essere stato mantenuto a fior delle creste durante tutta la traversata.» Parlò anche del giroscopio, del quale sarebbe stato necessario cambiare la presa d’aria: la neve la ostruiva:

«Capisce, si formano dei ghiaccioli». Più tardi, altre correnti avevano sballottato Pellerin; disceso a tremila metri, egli non capiva come non avesse ancora urtato contro qualche cima. Gli è che già sorvolava la pianura. «Me ne sono accorto improvvisamente, sboccando in un cielo puro.» E spiegò finalmente che, in quel momento, aveva avuto l’impressione d’uscire da una caverna.

«Tempesta anche a Mendoza?»

14

«No. Ho atterrato col cielo puro, senza vento. Ma la tempesta mi seguiva da vicino.»

La descrisse perché, come diceva, «ad ogni modo era strana». La cima si perdeva altissima nelle nuvole di neve, ma la base si spostava sulla pianura come una lava nera. Le città erano inghiottite ad una ad una. «Non ho mai visto niente di simile…» Poi tacque, ripreso da qualche ricordo.

Rivière si volse verso l’ispettore.

«È un ciclone del Pacifico; ci hanno avvisato troppo tardi. Ad ogni mo-do questi cicloni non scavalcano mai le Ande.»

Nessuno poteva prevedere che quello avrebbe proseguito la sua marcia verso Est.

L’ispettore, che non se ne intendeva, approvò.

L’ispettore parve esitare, si volse verso Pellerin e il suo pomo d’Adamo si mosse. Ma tacque. E, dopo aver alquanto riflettuto, riprese la sua melan-conica dignità, guardando diritto innanzi a sé.

Quella melanconia, egli se la portava intorno come un bagaglio. Sbarca-to il giorno prima in Argentina - Rivière l’aveva chiamato per una necessità imprecisa - egli era impacciato dalle sue grandi mani e dalla sua dignità di ispettore. Non aveva diritto d’ammirare né la fantasia, né il brio: ammirava per funzione la puntualità. Non aveva il diritto di bere un bicchierino in compagnia, di dare del tu a un camerata e di arrischiare un motto di spirito, a meno che, per un caso inverosimile, non incontrasse sullo stesso campo un altro ispettore. “È duro” pensava “essere un giudice.”

In realtà, egli non giudicava, ma scuoteva la testa, lentamente, dinanzi a tutto quello che incontrava. Ciò turbava le coscienze nere e contribuiva alla buona manutenzione del materiale. Non era amato, perché un ispettore non è creato per le delizie dell’amore, ma per la redazione dei rapporti. Aveva rinunciato a proporre in questi rapporti metodi nuovi e soluzioni tecniche, da quando Rivière aveva scritto: “L’ispettore Robineau è pregato di fornirci dei rapporti, e non dei poemi.